Perché ci “acciaiamo”
La mancanza di resistenza e di forza nella maggior parte dei casi non è la causa principale del fatto che presto si esauriscono le energie. Il fatto che ci “acciaiamo” spesso è soltanto un effetto dovuto al cattivo utilizzo delle capacità fisiche, al sovradosaggio della forza, e alla mancanza di appropriati feedback di controllo della tensione muscolare.
Il nostro corpo è pieno di sensori che ci comunicano molte informazioni provenienti dall’interno: la tensione muscolare, la sensazione di disagio o di dolore interno ai muscoli ed ai tendini sono continuamente monitorate, autonomamente, e nella maggior parte dei casi in maniera inconsapevole, da tutti questi recettori. Per la maggior parte di noi, e soprattutto per coloro che si stancano presto quando scalano, che pensano di avere poca resistenza e in realtà sprecano troppo, che contraggono fino all’ultimo muscolo anche quando non serve, questi recettori sono mal “tarati”.
Questo significa che non arriva, in maniera autonoma e automatica, il segnale che stiamo stringendo troppo quella presa e che ora possiamo mollare un po’; non arriva da quei sensori il segnale che possiamo rilassare la schiena e il collo, che si può rilassare un poco il polpaccio; quando abbiamo preso l’appiglio successivo spesso non arriva immediatamente il segnale che possiamo rilassare l’altra mano. Compito di questi propriocettori, se sono ben tarati, dovrebbe essere quello di consentire ai muscoli agonisti di avere la minima tensione necessaria al movimento e agli antagonisti di avere il massimo rilassamento possibile. In altre parole stringere le prese il meno possibile, contrarre solo i muscoli che servono, alternare in maniera sinergica ed efficiente la contrazione e la decontrazione di agonisti ed antagonisti, riuscire, talvolta, addirittura a riposare alcuni distretti muscolari senza dover mollare la presa. Spesso non è solo un problema di sensori della tensione muscolare, è anche un problema di tecnica: questo avviene , per esempio, quando stiamo scaricando parecchio peso sulle gambe e sui piedi ma continuiamo a stringere smoderatamente le prese che abbiamo per le mani. Proviamo a fare ogni tanto questo esperimento, agendo con il controllo volontario: mentre stiamo arrampicando allentiamo la presa sempre di più fino al punto in cui se mollo ancora un po’ la mano si apre e caschiamo. Quello è il punto limite e tutta la forza che ci mettiamo in più è energia sprecata. Il problema è che, come spesso accade, il controllo volontario e cosciente è del tutto inadeguato al compito: troppo lento e costoso, inefficace e inefficiente come un vecchio computer impallato. Pensate che i feedback propriocettivi richiedono solo 100 millisecondi per dar luogo ad una risposta di correzione, quando sono automatici e non raggiungono lo stato di coscienza.
Arrampicare con una tensione eccessiva, sovradosata rispetto a quella che in realtà servirebbe per salire, è tipico di chi ha paura di cadere, di chi è inibito da altre forme di ansia quali la presenza di pubblico, l’ansia da prestazione, l’ansia di dover per forza riuscire, l’ansia del grado.. etc.
E’ anche però un problema di apprendimento: chi ha cominciato da piccolo sicuramente avrà i propriocettori tarati benissimo e riuscirà sempre a ben coordinare lo sforzo tra i vari distretti muscolari nella maniera più efficiente. Chi ha cominciato con la scalata outdoor sarà sicuramente avvantaggiato rispetto coloro i quali sono abituati a tirare nelle sale boulders. Sicuramente anche chi a cominciato tardi con l’allenamento di forza a secco riuscirà ad usare meglio la forza che ha a disposizione. E’ un dato di fatto che lo sviluppo delle sale boulders e dell’allenamento di forza hanno contribuito in maniera disastrosa al riempire le falesie di arrampicatori che utilizzano malissimo le loro potenzialità fisiche ( chi mi conosce sa che io stesso, a tutti i miei allievi, dico spesso che la scalata fuori è l’allenamento migliore, ma nonostante questo certamente ho una grossa responsabilità nell’aver causato questa invasione di nuovi barbari assetati di grado). Tale problema si fa meno importante nel caso si pratichi esclusivamente il Bouldering: nel caso si debba superare un problema di blocco, l’esplosione di potenza dura pochi secondi e spesso è più importante essere in grado di sviluppare una tensione massima piuttosto che risparmiare; nel caso della scalata in falesia e delle vie a più tiri risulta invece indispensabile un appropriato dosaggio della tensione muscolare al fine di durare di più.
Possibili soluzioni
Per i principianti:
Avvicinarsi alla scalata con un corso che si svolga prevalentemente outdoor, avere l’imprinting della scalata sulla roccia vera, piuttosto che cominciare a scalare fuori solo dopo mesi di palestra artificiale e di allenamenti di forza. La palestra indoor e gli allenamenti di forza sono utili solo allorché si sia raggiunto già un buon livello tecnico, altrimenti sono controproducenti. Il fatto che molti palestrati dopo poco tempo già raggiungano gradi considerevoli ( anche il 7a/7b ) vuol dire solo che il loro livello fisico è sproporzionato rispetto a quello tecnico, che hanno bruciato le tappe e faranno molta più fatica poi a recuperare questo gap e poter fare un successivo salto di qualità.
Se proprio non è possibile andare a scalare fuori, evitare, almeno per il primo anno, eccessivi e aspecifici allenamenti di forza a secco, cercando di scalare il più possibile , di sviluppare sensibilità nei piedi utilizzando solo appoggi per i piedi molto piccoli e di automatizzare più possibili schemi motori
Quando si scala fuori, non cercare di bruciare le tappe passando molto tempo a tentare vie oltre il proprio limite, ma fare molti itinerari facili e in fluidità: quando si è al limite si arrampica male, e se si arrampica sempre al limite ci si abitua a scalare male.
Cercare sin dall’inizio di risolvere tutti quei fattori che inibiscono il corretto funzionamento degli automatismi: la paura di volare, la mancanza di autostima, la tendenza ad essere troppo competitivi con se stessi o con gli altri, l’ansia della prestazione o l’ansia del grado, il porsi obiettivi sbagliati ( banali o irraggiungibili). Tutto questo dopo un po’ di anni sarà cosi radicato che diventerà molto più difficile da estirpare.
Per chi arrampica già da tempo
Essere obiettivi con se stessi: quando non si riesce, non inventarsi sempre delle scuse alle quali poi si finisce col credere. Questo permetterà di poter agire concretamente sui propri punti deboli
Imparare a visualizzare e rappresentare mentalmente la scalata: non tanto e non solo per ricordarsi la sequenza di appigli ma soprattutto per meglio fissare le sensazioni di come e quanto spingere e tirare. Il modo migliore per “tarare” i recettori interni è proprio quello di farlo mentalmente come se si dovesse ripassare una lezione.
Scalare fuori il più possibile, anche sul facile. Fare molte vie lunghe in montagna è uno dei modi migliori per costruire una base di schemi motori che rimarrà per tutta la vita. Ricordare che il modo migliore per allenarsi è scalare fuori, Pan Gullich e trave sono indispensabili per l’altissimo livello ( con molte eccezioni) ma per tutti gli altri costituiscono solo un surrogato per chi non ha la possibilità di scalare.
Imitazione e ripetizione: scalare con chi è più bravo e poi cercare di ripetere lasciandosi andare, senza razionalizzare troppo, come quando si segue un maestro di sci che non parla e dopo un po’ si sentono le gambe che vanno da sole.
Cercare di essere polivalenti nella prima parte della carriera, specializzarsi nella seconda. All’inizio infatti fare un po’ tutto ( boulders, continuità, biditi, canne, svasi, a vista , lavorato etc) serve per costruire un bagaglio, monetine spese che prima o poi pagheranno. Dopo anni di scalata, e in età più tarda, invece, la polivalenza può essere controproducente: dal punto di vista fisico, la continuità andrà a scapito della forza e viceversa e si rischierà così di non fare bene nessuna delle due cose. Dal punto di vista mentale, scalare spesso su cose poco congeniali porterà a demotivazione. Una buona soluzione sarà dunque quella di allenare soprattutto le cose su cui già si va bene, di diventare sempre più forti sulle cose predilette. In questo modo i risultati continueranno a crescere, e questo influirà in maniera positiva a tal punto che si andrà meglio anche sui terreni su cui una volta si era più deboli.
Tuesday, October 10, 2006
da JollyPower di Alessandro Lamberti
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1 comment:
Parole sante:
non cercare di bruciare le tappe passando molto tempo a tentare vie oltre il proprio limite, ma fare molti itinerari facili e in fluidità: quando si è al limite si arrampica male, e se si arrampica sempre al limite ci si abitua a scalare male.
Essere obiettivi con se stessi: quando non si riesce, non inventarsi sempre delle scuse alle quali poi si finisce col credere. Questo permetterà di poter agire concretamente sui propri punti deboli
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